Come fare le campagne promozionali: una matrice e tanta allegria – Intervista a Tommaso Pittarello

Aggiornato il: 24 Gennaio 2024

Pubblicato il: 10 Marzo 2023

Categoria: Interviste

Chi è Tommaso Pittarello

Tommaso Pittarello

Tommaso è Direttore Marketing e Co-founder di Strooka. Non solo: è anche formatore e autore del libro Come fare le campagne promozionali. E poi: gentile, disponibile, professionale, diretto e alla mano. Come piace a noi!

Ciao Tommaso!
Ti ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Abbiamo avuto il piacere di conoscerti di persona, ti seguiamo su LinkedIn e ci piace sempre molto il tuo modo di pensare e riflettere sui temi di marketing e comunicazione. Poi abbiamo visto che hai pubblicato il libro Come fare le campagne promozionali: lo stiamo leggendo con grande interesse.
Siamo contentissimi di avere l’occasione di fare una chiacchierata con te!

Innanzitutto grazie mille a voi, sono sinceramente lusingato dalle vostre parole e ancora di più dall’attenzione che mi avete dedicato seguendo i miei post e acquistando il libro. Grazie, di cuore.

 

Cominciamo con una domanda “rompighiaccio”: come sei finito ad occuparti di marketing e comunicazione?

La mia passione per il marketing nasce grazie a Romano Cappellari, mio professore di marketing all’università. Era la fine del 2001 quando iniziava il primo corso di marketing e Romano ci introduceva in un mondo che mi sembrava semplicemente magico. Da quel momento è sempre stata la mia materia preferita ma anche una delle mie più grandi passioni.
Insieme alla comunicazione.
In realtà la cosa che più mi affascina è comprendere in che modo le persone prendono decisioni.

Quando mi sono accorto che gran parte dei nostri pensieri, sia consci che inconsci, sono condizionati dalla comunicazione allora mi sono davvero appassionato.
E poi ho avuto la fortuna di partecipare a campagne di comunicazione molto fortunate e incredibilmente divertenti che mi hanno portato su giornali, blog, tv e addirittura dentro qualche libro e tesi di laurea. Come si fa a non appassionarsi?

 

Cosa significa per te fare mercato? Sappiamo che sei contrario al concetto di marketing che raggira le persone per farle comprare a tutti i costi – standing ovation da parte nostra!

Una volta ho trovato una riflessione sulla parola “mercato” che mi è molto piaciuta: il luogo di scambio delle cose che meritano di essere scambiate.
Mer-cato avrebbe infatti la stessa radice della parola mer-itus.

Per me fare mercato significa quindi essere meritevoli dell’attenzione e della fiducia delle persone, offrendo un prodotto (o un servizio) che risolva dei problemi e che migliori la vita delle persone.

Da appassionato di comunicazione ho studiato molto i temi della persuasione, della propaganda e della manipolazione. Ne sono affascinato ma sono strumenti pericolosi.
Non mi piace l’espressione “aggredire il mercato”, preferisco di gran lunga parlare di “servire un mercato”.

 

Vogliamo condividere per intero un tuo post che ci era piaciuto davvero tanto:

“Sabato scorso sono andato a trovare i miei genitori.

Mi hanno fatto i complimenti per il libro e con quella scusa abbiamo cominciato a ricordare episodi di quando loro avevano un’azienda tessile.

E ho scoperto delle cose incredibili di cui non ero mai venuto a conoscenza.

Una volta mio padre aveva accompagnato un dipendente da un prete prima e poi in comunità perché aveva problemi di droga.
“Ti riassumerò subito non appena la comunità mi dirà che tu stai bene”.
Anni dopo quel ragazzo lo ha ringraziato per avergli salvato la vita.

Una volta tutti, titolari (i miei genitori) e i dipendenti si sono organizzati a turni per andare a fare assistenza in ospedale per una dipendente che era stata male. Anche donando sangue.

Ho scoperto anche che nella bassa padovana (mica in Silicon Valley), a inizio anni 80, i miei hanno deciso di permettere alle dipendenti che lo volessero di diplomarsi concedendo alcune ore di permesso remunerato ogni settimana. Così alcune di loro hanno raggiunto il diploma.

Mio padre è uno che è sempre orientato al futuro, anche oggi che ha 72 anni, e per la prima volta mi ha fatto vedere quanto fosse innovativo in quegli anni nel suo modo di fare impresa.

Non c’era la Cina, non c’era la globalizzazione, non c’erano mille burocrazie, non dovevi avere un master in marketing e un altro in controllo di gestione per riuscire a pagare gli stipendi.

Potevi essere uno che si prende la responsabilità di risolvere un problema e nel farlo ti prendevi cura dei tuoi collaboratori.
Non perché te lo avesse detto qualche guru.
Ma perché era la cosa giusta da fare e basta.

Sono davvero fiero di avere un esempio di imprenditori illuminati come i miei genitori.”

Queste tue parole ci hanno colpito per il risalto che dai all’umanità dell’imprenditore e del business stesso. Secondo te, come influisce la dimensione umana nel successo di un’attività?

 

Innanzitutto dobbiamo definire il significato della parola “successo”.
Se si limita alla quantità di soldi o potere, diciamo pure che l’umanità ha un ruolo marginale. Ci saranno sempre persone fragili che hanno bisogno di figure abbaglianti e potenti da seguire.
Ma per me questa non è una buona forma di successo.

Io credo che un imprenditore abbia successo quando realizza che la sua attività è uno strumento per mettersi al servizio di un progetto più grande del proprio ego. La cartina tornasole del successo di un imprenditore è la propria pace interiore, la serenità, la gioia.

Non ci sono tante scorciatoie per raggiungere questo “successo”. I clienti hanno bisogno di soluzioni vere, di onestà dell’azienda e sempre di più sono attratti da chi ha una visione di grande ispirazione.

La dimensione umana quindi non solo è importante ma è assolutamente centrale per il successo dell’attività, secondo me.

 

Abbiamo citato il tuo post LinkedIn anche per parlare del tuo libro 🙂 Ti va di raccontare ai nostri lettori com’è nata l’idea di scriverlo e qual è la sua missione?

Durante l’estate 2022 il mio amico Samuel Gentile, titolare di Liquid Diamond, mi ha invitato nel suo ufficio.

S: “Hai letto il mio quaderno sulla Value Ladder?”
Io: “Certo, mi è piaciuto moltissimo!”
S: “Ti va di scrivere il tuo quaderno?”
Io: “Ah… beh.. ma su cosa dovrei scriverlo?”
S: “Su quello che ti pare”

Ero lusingato ma allo stesso tempo un po’ confuso.

Samuel è uno dei professionisti del marketing più preparato che io abbia incontrato e non sapevo proprio in che modo avrei potuto dare il mio contributo.
Poi ho pensato che la cosa più interessante e credibile è raccontare le mie esperienze concrete, vere, con successi e fallimenti.

La cosa più semplice da vedere nel marketing sono le campagne promozionali: tutti ne riceviamo ogni giorno ma nessuno ci spiega come prepararle in maniera efficace.
Inoltre per fare una campagna promozionale che funzioni è necessario mettere bene a punto la strategia e di conseguenza la comunicazione.

Nel libro descrivo una matrice che io ho creato, che mi permette di ideare tantissime campagne promozionali, di organizzare un vero e proprio calendario operativo per ottenere i tre obiettivi fondamentali: attirare nuovi clienti, farli tornare, farli spendere un po’ di più.

 

Secondo te, l’imprenditore di oggi conosce e rispetta lo stretto rapporto tra comunicazione e marketing, oppure è ancora focalizzato solo sulla vendita?

Oggi ci sono tanti tipi di imprenditore in Italia. Semplifichiamo considerando i due estremi: l’imprenditore per così dire “tradizionale” che tipicamente ha costruito la sua fortuna in un momento di boom economico dove la qualità dei prodotti incontrava una domanda crescente. Per questi il marketing è sinonimo di pubblicità, un volantino in varie forme che deve solo esaltare la qualità di un prodotto.

L’altro estremo è l’imprenditore per così dire “moderno” che si è reso consapevole che l’azienda esiste solo se ha dei clienti desiderosi di acquistare. Ecco che quindi che il marketing e di conseguenza la comunicazione devono considerare attentamente le leggi della fiducia dei clienti.

Un cliente infatti ti deve scoprire, ti deve valutare, deve decidere se fidarsi o meno di te. Poi ti deve provare per capire se il tuo prodotto fa per lui. E se è soddisfatto deve tornare, acquistare di più e poi parlare bene di te. Quando si rispetta questo strettissimo rapporto tra marketing e comunicazione, allora i clienti sono felici di mettersi in coda per acquistare.

 

Ci sono delle fantomatiche “best practice dell’advertising online” di cui faresti volentieri a meno?

Per come la vedo io, l’advertising online è solo una delle tante cose da fare quando ti metti al servizio di una nicchia di mercato.

Se c’è una “best practice” che proprio non mi convince è quella che devi necessariamente investire nelle piattaforme social. E chi l’ha detto? (Lo dicono i proprietari di quelle piattaforme ovviamente, che formano le agenzie e i professionisti a predicare il vangelo dell’advertising online!).

Il ragionamento che per me ha sempre funzionato è quello di partire dal cliente e quindi di analizzare dove questi mette la sua attenzione. Se c’è domanda consapevole allora ha senso investire per farsi trovare nei motori di ricerca (se parliamo di online). Se la domanda è latente devo investire nel catturare la curiosità. Se il cliente è fidelizzato devo investire nella relazione di lungo periodo.

L’unica best practice che secondo me non tramonterà mai è quella di dedicare l’attenzione al cliente. Anche e soprattutto quando si tratta di pianificare l’advertising.

 

Nel tuo libro proponi un modello concettuale e operativo molto interessante per fare campagne pubblicitarie online. Come sei arrivato a formularlo?

Nel 2017 ho avuto per la prima volta carta bianca nel marketing quando ho iniziato a lavorare insieme a mio fratello in una catena di ristoranti da lui fondata.
Avevo una missione quasi impossibile. Il mio ruolo era di responsabile del marketing e quindi dovevo portare clienti.

Purtroppo però il budget che potevamo spendere per campagne pubblicitarie era zero.
Per fortuna non partivamo proprio da zero.
Partivamo da 7000 contatti di clienti raccolti in 10 anni di vendite online.

C’erano anche buone recensioni, più o meno tutte incentrate sulla qualità del nostro sushi.
Allora ho preso alcune decisioni fondamentali.
La prima: non spenderò 1 euro di pubblicità (non ne avevamo!).
La seconda: tratteremo chi è già cliente meglio di chi ci prova per la prima volta.
La terza: manderemo solo messaggi e email che facciano ridere!

Dopo 12 mesi siamo arrivati ad avere 14.000 contatti in database. Avevamo sempre nuovi clienti, i clienti fidelizzati acquistavano più spesso e lo scontrino medio in un anno è passato da 27 a 38 euro.

Nasceva così il sistema per creare Campagne Promozionali continuative che ho applicato tante altre volte come consulente presso altri ristoranti e altre aziende di diversi settori.
E che poi ho descritto meglio che ho potuto nel libro.

 

Secondo te questo modello è utilizzabile da tutte le aziende, indipendentemente dalla dimensione?

Il modello che descrivo funziona per tutte le aziende che per crescere devono mettere il cliente al centro. L’idea di base è che darsi come obiettivo aumentare le vendite non ha molto senso perché l’unico modo di fare una vendita è avere una persona che vuole acquistare.

È molto più utile pensare a come avere una grande domanda da parte dei clienti. E per questo serve un sistema che la stimoli.

Le aziende che vivono di bandi pubblici o che sono fortemente orientate al prodotto e all’efficienza produttiva beneficiano poco del mio modello.

 

Hai un sogno nel cassetto?

Bella domanda! Mi piacerebbe raccontare le storie vere di imprenditori, grandi o piccoli, che hanno avuto successo affinché siano di ispirazione per chi ha bisogno di esempi sani. Storie che siano dei film, dei libri, dei reel di instagram, delle serie tv, ecc.

Sogno un mondo in cui le persone, quando si chiedono “cosa farò da grande?” sappiano ascoltarsi nel profondo senza farsi condizionare dalle manipolazioni esterne…e di collaborare con quelli che non possono fare a meno di fare impresa!

 

Ultimissima domanda! Se volessimo una colonna sonora per leggere il tuo libro, cosa ci consiglieresti?

La band che mi ha accompagnato fin da quando avevo 8 anni sono i Dream Theater ed è ascoltando loro che ho scritto e rivisto tante parti del libro.

Probabilmente una buona musica per leggere il libro è quella che dà vibrazioni positive, che dia allegria e magari un po’ voglia di ballare.

Per aiutare le persone con bellissime campagne promozionali serve il buon umore!

 

Grazie mille a Tommaso, e viva il buonumore!





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