Da Facebook al Frecciarossa in 10 domande – Intervista a Gianluca Diegoli

Aggiornato il: 24 Gennaio 2024

Pubblicato il: 3 Febbraio 2023

Categoria: Interviste

Chi è Gianluca Diegoli

Gianluca Diegoli

Gianluca Diegoli è un esperto di marketing e comunicazione digitale – uno di quelli da stimare davvero, con una visione lucida, analitica e intelligentemente critica nei confronti del presente. Insegna digital marketing e multicanalità al corso di laurea magistrale in marketing all’Università IULM a Milano. Nel 2012 ha co-fondato Digital Update, la prima scuola di formazione digitale in Italia.
Qualche anno fa abbiamo scoperto la sua newsletter, la Lettera del Venerdì, e da allora non ce ne siamo mai separati.

https://www.minimarketing.it/

Qualche settimana fa ci è balenata l’idea di contattare Gianluca, aka gluca, per chiedergli un’intervista. Così gli abbiamo scritto su LinkedIn, e lui ci ha risposto con grande gentilezza, dandoci la sua disponibilità. È rimasto con noi per un’ora, a chiacchierare di comunicazione e marketing. Qui abbiamo raccolto i punti salienti di questa bellissima chiacchierata.

Grazie grazie grazie a gluca, che oltre ad essere un grande professionista è anche una bella persona.

 

Nella tua ultima newsletter del 2022 facevi qualche previsione per il futuro prossimo del web. Partiamo con Facebook 🙂 Effettivamente anche solo a nominarlo ci si sente un po’ boomer e un po’ millennial, ma tu facevi giustamente notare che siamo ben lontani da un social che sta morendo. Secondo te è solo una questione di pubblico, che su Facebook ha un’età più avanzata, o è anche la piattaforma ad essere un po’ (forse molto?) più pachidermica rispetto agli altri social?

Secondo me ci sono due trend: uno è che Facebook è oggettivamente passato dall’essere IL social network a UNO dei social network. Questo potrebbe farcelo sembrare in declino e in un certo senso è così, però se andiamo a vedere un po’ i numeri tutto questo declino non c’è.
E appena usciamo un po’ dalla nostra zona di comfort di digital-entusiasti e digital-eccetera, vediamo che ci sono dei gruppi che magari fanno cose poco cool, ma sotto traccia continuano ad avere una grande vitalità. Tipo il “Sei di POSTO A CASO se”, il gruppo del vicinato, quello dell’Azione Cattolica, Compro-Vendo a Vicenza e provincia, oppure il Marketplace. Io me la spiego così.

Poi c’è anche un trend generale che credo porti ad avere meno engagement rispetto a quello che pensavamo una volta, cioè like, commenti, condivisioni (ecc.). C’è meno spinta da parte degli utenti, anche per una stanchezza generale.
Forse si sta un po’ perdendo quella cosa del postare pubblicamente. Secondo me nella popolazione più alta di età c’è un po’ un ritorno alla fase intimistica dei social.
Quindi focalizzarsi solo sulle pagine che hanno meno engagement non è un indicatore.

La mia idea è che se vogliamo andare da una popolazione di un certo tipo, anagrafica ma non solo, è su Facebook che dobbiamo stare. Potrebbe essere questo il passaggio digitale dalla televisione, ovvero: se hai un prodotto da televisione lineare, può essere che Facebook sia la tua meta. Magari fra qualche anno gli spot di Amplifon li faranno su Facebook!

Comunque a mio avviso le aziende devono sempre più capire dove investire le proprie forze, facendo delle valutazioni sul ruolo della pagina, dell’organico, dell’advertising.

 

Tik Tok invece è sempre lì a ricordarci che, se non lo usiamo, restiamo fuori da un cambiamento oggettivamente “storico” per i social. Secondo te Tik Tok riuscirà a convertire in utenti attivi quei brand che mai avrebbero pensato (e voluto) fare video?

Su Tik Tok i video vanno fatti anche secondo una certa grammatica. Chiaro che questo social è stato molto furbo all’inizio nel dire non fate pubblicità ma fate Tik Tok, era un po’ il mantra di tutta la sua vendita. Anche facendo pubblicità, il contenuto doveva essere organico.
Questo mette delle barriere all’ingresso molto alte, perché non tutti i brand possono avere la capacità, ma anche la volontà, di TikTokizzarsi. Poi magari fra cinque anni ci sembrerà normale che i brand facciano i Tik Tok!

Detto questo, con i chiari di luna che ci sono adesso dobbiamo cominciare a calcolare i ritorni più che la volontà di essere su un social. Tik Tok è una piattaforma di community guidate da creator, dove il creator è quello che sviluppa la discussione, il traffico, la viralità. Ben pochi brand possono assumere il ruolo di creator e trascinare una loro community fluida.

Quello che vedo meglio ora per i brand su Tik Tok sono le partnership, l’esserci senza esserci. Il fatto di avere una propria presenza fissa continuativa in un ambiente così, e di essere tra i primi farlo, non so nemmeno se sia un vantaggio competitivo. Anche perché il rischio è sempre quello di investire senza avere dei ritorni concreti.

 

Domandona, sempre tratta una tua riflessione di fine anno. Algoritmo Google VS Algoritmo AI: come la vedi?

Secondo me in questo momento Google sta a guardare cosa succede, perché probabilmente avrebbe risorse di tutti i tipi per crearsi una propria piattaforma o restituire una risposta come quella che dà con gli snippet. Però un conto è fare gli snippet, un conto è far qualcosa che potrebbe far crollare la principale risorsa di Google, che è quella delle persone che cliccano sui link, sia da organico che a pagamento (il PPC è ancora adesso la gallina dalle uova d’oro di internet).

Nel momento in cui l’AI non porta le persone da nessuna parte ma dà loro delle risposte, c’è sicuramente da pensare – e questo è un argomento.

Il secondo argomento è quello dei cosiddetti contenuti SEO.
Come visualizzerà Google i contenuti realizzati con ChatGPT? Questo probabilmente dipenderà da Google. E come farà a riconoscere i contenuti creati dagli umani?
Ha senso mettere in ranking qualcosa creato artificialmente? Non ho una risposta.

La mia sensazione è che siamo di fronte ad un grosso cambiamento, che va a stravolgere profondamente la comunicazione e il sistema di targeting.
Dentro le aziende, ad esempio, ci sono già tantissime realizzazioni di AI nella logistica, distribuzione ed esposizione di prodotti al supermercato, in grado di creare algoritmi a nmila variabili che dicono “proviamo a mettere quel prodotto piuttosto che l’altro nello scaffale”.

Forse grazie all’AI potremo creare delle homepage o categorie di ecommerce basate su ciò che è migliore per l’utente in tempo reale, con costi molto più bassi e alla portata di tutti.

Come dicevo, secondo me è in arrivo qualcosa di molto grosso, di cui non abbiamo ancora fatto il carotaggio. Forse la domanda su Google non è nemmeno la più importante.

Per quanto riguarda i contenuti testuali, credo che nel breve periodo il cambiamento a cui assisteremo sarà come il passaggio dagli amanuensi ai caratteri mobili della stampa!
Nella maggior parte delle cose che scriviamo nella comunicazione, che non sono opere d’arte, vedo un passaggio dalla capacità di scrittura diretta alla capacità di farsi aiutare.
Il copy potrebbe diventare il controllore, l’indirizzatore della macchina, liberando spazio per il pensiero strategico – spesso compromesso dal turbine dei contenuti da produrre ogni giorno.

Che poi, se il contenuto di un blog lo può scrivere ChatGPT forse non ha senso di essere prodotto. La butto lì!

 

Tu hai una fantastica newsletter, con oltre 12.000 follower. Come sei riuscito a far crescere questa community?

Non ho una vera ricetta!
Posso dire che ho creato un angolo personale rispetto alle cose, cercando di scrivere quello che piaceva a me, con tutti i rischi del caso, e qualcosa di diverso rispetto alla massa di contenuti del momento. Il fatto di non essere sul pezzo è stato paradossalmente un punto di forza.

Anche la continuità sicuramente ha inciso: il fatto di scrivere tutte le settimane serve soprattutto a chi scrive, perché ci metti meno tempo, sblocchi le tue paure…è un allenamento.

Poi qualche anno fa ad un certo punto ho capito che andava ribaltato il gioco tra blog (o contenuto nuovo sul sito) e la mail che serviva a diffonderlo. Le persone stavano leggendo prima di tutto la newsletter! Questo è stato un cambio su cui ho scommesso.

Infine, due anni fa sono passato su Substack perché mi piaceva molto la piattaforma, che è adatta a delle newsletter autoriali. La cosa migliore è che Substack ti procura molto traffico (anche se non sempre in target) replicando un po’ il concetto di viralità dei social, ma senza la logica dell’algoritmo. Ho scommesso anche su questo, e ha funzionato.

 

Domanda a bruciapelo: cosa ne pensi di funnel e freebies?

Io dico sempre che il funnel è il modello peggiore che abbiamo, esclusi tutti gli altri modelli.
È un po’ un male necessario!

Detto ciò, credo che ci sia un’inflazione, quella che chiamiamo infodemia.
Davvero abbiamo qualcosa da dare per cui vale la pena che le persone lascino la mail? Il contenuto gratuito dovrebbe essere un atto di donazione di qualcosa che è veramente valido, per cui alla fine della fiera beneficia sia l’azienda che l’utente.
Forse si dovrebbe alzare talmente tanto la qualità di questi contenuti veicolati dai funnel, che bisogna veramente valutare se l’investimento è sensato.

Molto dipende anche dai settori: magari ci sono mercati in cui il funnel non si è mai fatto – vedi ad esempio il b2b, che ha tutto un mondo di configuratori di prodotti, guide sui prodotti, calcoli di risparmio e via dicendo.

Io ho sempre una visione molto laica, nel senso che secondo me è solo da capire quanto mi costa quel contatto mail, tra freebie, pubblicità, landing page ecc.
Confrontando il costo di acquisizione e la permanenza del lead nei miei canali capisco se il funnel funziona o no, soprattutto sul lungo periodo.

 

Il branding è il cuore di tutto ciò in cui noi crediamo, e che cerchiamo di fare. Però spesso ci scontriamo con la difficoltà di farne capire l’importanza all’imprenditore medio, che preferisce parlare di cose più pratiche. Secondo te come è possibile superare sempre meglio questo scoglio?

In tutto quello che facciamo nel digital c’è qualcosa che migliora il brand e la conversione – per riprendere la domanda di prima, spesso i funnel aggressivi vengono fatti da chi non fa un gran branding.

Oggi come si può misurare il brand, concretamente?
Con il numero di ricerche organiche con il tuo nome, che arrivano sul sito. Se tu fai brand la gente ti cerca! Oppure nella velocità di conclusione di un affare, perché vendi con la reputazione del brand.

In ogni caso credo che il salto avvenga quando l’imprenditore capisce che tutto ciò che riguarda il digitale è un investimento sul medio-lungo periodo. Altrimenti un sito da 5.000 euro sembrerà sempre costare tanto, mentre spendere gli stessi 5.000 euro per tagliare il prato dell’azienda è ok.

 

Altra domandona: cosa diresti alla piccola azienda che ha il sogno di diventare grande?

Io noto spesso uno scimmiottamento dell’azienda piccola che vuole fare la grande.
Esempio: “ho visto l’azienda grande che fa lo spot, lo voglio anche io – ma con la metà del budget.”
Come ho letto in un libro, non si può fare una grattacielo basso. Non si può copiare il grande pensando che funzioni nel piccolo. Ogni dimensione ha i suoi metodi progressivi per crescere.

L’altro aspetto è il concetto dell’investimento: se ti aspetti che una campagna di acquisizione clienti ti costi 10 e ti porti 20, non la farai mai. Devi sempre scommettere sul customer lifetime value (il valore della vita di un cliente, ndr). Voler crescere non significa solo guardare al ROAS (redditività di un’attività, ndr) di breve periodo, ma anche a quanto può valere un cliente nel tempo.

Aggiungo: penso che la capacità di basarsi su dei dati per prendere delle decisioni data driven, e di tracciare le richieste con CRM o simili, sia fondamentale per crescere. Molto più che aprire una pagina Facebook.

 

Nella descrizione del tuo sito leggiamo “Trovo lo spam istruttivo”. in che senso?

Lo spam è istruttivo perché nel corso del tempo mostra le modifiche ai timori e desideri delle persone! Sono un po’ il giornale scandalistico dell’internet 🙂

 

L’esperienza professionale più appassionante che ti ricordi?

Probabilmente è quando ho fatto il temporary manager in Ducati, perché era già di suo un’esperienza unica e perché avveniva in un momento di cambiamento (nascevano i social, il sito nuovo). Inoltre in Ducati le persone che lavorano sono davvero appassionate del brand.

 

Sempre sul tuo sito scrivi che vivi in Emilia e sul Frecciarossa. Come si vive sul Frecciarossa? 🙂

Per fortuna ci vivo meno, perché da dopo il Covid la parte del lavoro meno decisiva si svolge molto più da remoto. Diciamo che adesso lo apprezzo di più!





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