Davide Bertozzi: copywriter genuino ed entusiasta | BFENTERPRISE

Punto, e virgola – Intervista a Davide Bertozzi

Aggiornato il: 10 Novembre 2023

Pubblicato il: 23 Giugno 2022

Categoria: Interviste

Chi è Davide Bertozzi

davide bertozzi copywriter

Davide Bertozzi, copywriter e direttore creativo

Copywriter e direttore creativo. Ha curato progetti per Terranova, Dorelan, Red Bull e lavorato a spot TV, brand name e campagne pubblicitarie nazionali.
È fondatore dello studio creativo Grafite e responsabile della comunicazione digitale del pilota di MotoGP Enea Bastianini. È docente di copywriting e content marketing, ha tenuto corsi, lezioni e laboratori per l’Università di Urbino Carlo Bo, 24ORE Business School e Lacerba. Nel 2021 ha pubblicato con Hoepli “Immagini VS Parole”, un manuale di scrittura pubblicitaria.

 

 

Toc toc, sono Sara. Questa volta sbuco dalla regia e parlo in prima persona per presentare un’intervista che ho fortemente voluto. È dedicata ad un professionista che come me è copywriter (e non solo).
Di Davide Bertozzi apprezzo l’approccio umano, la scrittura densa ma fluida, il modo genuino con cui si pone, l’entusiasmo che trasmette e il solare accento romagnolo – l’ho sentito parlare diverse volte al Web Marketing Festival! Di recente ho avuto il piacere di leggere la sua serie di newsletter Fuori Brief, in cui ho trovato tanti spunti e punti di accordo. Così ho maturato l’idea di fargli qualche domanda, e sono felice di averlo disturbato. Guardate qui che risposte 🙂

 

Che sensazioni hai provato quando sei passato dall’università al mondo della scrittura professionale? Com’è stato l’impatto?

Inizialmente ho provato una grande soddisfazione, concretizzare gli studi universitari in progetti professionali è una gran bella cosa. All’inizio. Poi mi son reso conto che la pratica è parecchio diversa dalla teoria: all’università mi hanno raccontato di mega strategie di marketing con budget incredibili, poi nel primo posto di lavoro mi son trovato a scrivere per piccole realtà locali con micro-possibilità economiche, zero piani di marketing e addirittura zero business plan. Quindi è stato un inizio destabilizzante, a volte deprimente. Ho scoperto che le agenzie pubblicitarie non lavorano poi così bene, o almeno molte di quelle che ho incontrato nei primi anni (ma anche successivamente). Questo mi ha spronato ad aprire la partita iva e lavorare come ritengo più corretto, giusto, etico. È servito un po’ di tempo per ingranare, ma ora, a dieci anni di distanza, sono convinto di aver fatto la scelta giusta nel momento giusto.

 

E l’impatto con la scrittura che deve vendere o comunque aiutare la vendita?

scrittura

Penso che la scrittura sia uno strumento che avvicina le aziende alle persone e le persone alle aziende. Un buon testo, sia di una headline che di una frase di un post sui social, può anche spingere le persone verso una conversione immediata, ma si tratta di casi, anche sporadici. I testi che fanno vendere sono quelli che costruiscono un preciso immaginario, quelli che, pubblicati periodicamente, offrono alle persone spunti utili e significativi. Quindi la scrittura pubblicitaria non è una cosa one-shot, ma un percorso. Dobbiamo scrivere bene e tanto e a lungo per creare immaginari credibili e affinità solide con il pubblico. Non dobbiamo convincere le persone a comprarci, ma a sceglierci. La cosa è ben diversa, perché con una buona headline posso convincere qualcuno a scegliermi una volta, ma poi arriveranno competitor con headline più forti delle mie e il pubblico comprerà altre marche. Con una buona narrazione, invece, il pubblico ci sceglierà con consapevolezza. E quando qualcuno ci sceglie, continuerà a farlo finché si sentirà rappresentato dalla nostra identità di marca. Ecco perché dobbiamo scrivere tanto, e bene.

 

Devo dire che la scrittura che forza la vendita per me (Sara) è sempre stata un po’ ostica, perché credo in un copywriting brillante ma sincero, più che persuasivo. Tu sei riuscito a trovare un compromesso che soddisfa i tuoi clienti, ma anche e prima di tutto te stesso?

La penso come te. Anzi, sono anche più estremista: non credo nella persuasione e se qualche cliente mi chiede testi persuasivi esprimo subito il mio pensiero e metto in chiaro i valori in cui credo. È importante farlo così entrambi capiamo se e quanto siamo in sintonia. Poi certo, se mi chiedi di scrivere un messaggio commerciale non ti dico di no, o almeno prima valuto se quello che mi chiedi può realmente funzionare. Per me il compromesso sta nel risultato di questa valutazione: non sono un tipo che si innamora delle proprie idee, o almeno non troppo; se penso siano giuste cerco di farle valere, se ritengo che quelle suggerite dai commerciali dell’azienda abbiano del potenziale, provo a svilupparle. La cosa più importante è che il messaggio funzioni, anche a costo di mettere la creatività da parte. Qui bisogna fare i conti con il proprio ego. So che non è facile, ma quando ci si riesce, migliora il risultato finale del lavoro, e di parecchio.

 

Secondo te come si misura il successo di un testo?

metro

Difficile darti una risposta. O meglio, dipende dagli obiettivi. Se scriviamo per i motori di ricerca – cosa di cui non mi occupo -, il risultato lo vediamo facilmente nella SERP o nei dati forniti dagli strumenti di analisi. Lo stesso si può dire se scriviamo per l’usabilità, cioè per far fare le cose alle persone su siti, piattaforme o app. Ecco, qui per fortuna ci sono strumenti che ci forniscono informazioni sul comportamento delle persone e possiamo capire se la navigazione è fluida, semplice, corretta. Possiamo qui ricorrere ai classici e mai scontati A/B test per non sbagliare. Quindi, sul web abbiamo gli strumenti per misurare comportamenti, sentiment, apprezzamenti eccetera. Usarli ci aiuta a capire se stiamo lavorando bene e come possiamo scrivere i testi futuri. Sulla carta no. O meglio, ne abbiamo meno. Ed è molto più complesso il lavoro, ecco perché spesso è più impegnativo e costoso, ma anche avvincente. Prima e dopo la pubblicazione di campagne e contenuti su media cartacei e tradizionali, sarebbe bene ricorrere ai cari vecchi questionari, chiediamo insomma un parere al pubblico. È un processo lento e antico, lo so. Ma funziona.

 

Una domanda a bruciapelo. Oggi è come se gran parte della comunicazione online dicesse alle persone: continua a navigare, vai qui, clicca, compra, fai presto, condividi. È tutto un continuo e frenetico invito all’azione! Cosa ne pensi? Secondo te può esistere un’alternativa a questa continua pressione sugli utenti?

Sì, è proprio così: quando navighiamo veniamo continuamente invitati a fare qualcosa e a compiere delle scelte, a tratti può risultare stressante, ma in fondo, navighiamo perché vogliamo fare qualcosa, anche annoiarci. Quello che possono, anzi, devono fare le persone che scrivono i micro-testi dei pulsanti è trovare le parole più giuste, quindi gentili, carine, precise, in linea con il tono di voce dell’azienda e intonate con la musica che piace al nostro pubblico.

 

Curiosità personale! Tu lavori meglio sotto pressione e con tempi limitati, o rendi di più in contesti e tempi più tranquilli?

Sicuramente lavorerei meglio con tempi morbidi e dilatati, ma la realtà poi è diversa, sono sempre sotto pressione e sotto deadline, quindi se i miei lavori sono davvero buoni significa che mi trovo bene anche in questa dimensione qui. Certo, dovrei imparare ad organizzarmi meglio, ma non è così facile incastrare i miei tempi con quelli delle altre persone coinvolte nei progetti.

 

E come vivi il confronto con i clienti? Riesci a far percepire loro il valore della comunicazione, che di per sé è intangibile?

A volte ci riesco, altre volte no. Quello che faccio, sempre, è raccontar loro ogni passaggio del mio lavoro. Anche quando devo presentare un naming, un payoff o una headline, non mostro di botto il progetto, ma racconto il processo creativo. Questo è davvero utile per far capire agli altri la complessità e la profondità delle cose che svolgi, perché ci sono persone che pensano che io me ne stia alla scrivania a inventarmi le cose così, dal nulla. Magari fosse così semplice…

 

Domandona super classica a tema social: secondo te è vero che il piano editoriale è morto?

piano editoriale

Ogni volta che sento questa frase penso che il piano editoriale rinasca, in qualche modo. Cambiano gli strumenti, i canali, il modo di organizzarsi, l’identità dei brand, ma un buon piano editoriale ha un valore enorme. In più, il solo pensarlo, progettarlo e programmarlo aiuta a capire chi siamo e dove stiamo andando, cose mica poi così scontate. Io lavoro con realtà che programmano piani a lungo termine, anche annuali, e anche con realtà che, per loro natura, non possono avere dei piani precisi – come i piloti di MotoGP, i cui contenuti variano in base ai risultati in gara. Nel primo si lavora con un’ampia visione d’insieme e ogni persona coinvolta è a conoscenza di ciò che verrà pubblicato, e come. In questo modo non nascono incomprensioni e si lavora molto, molto meglio. In MotoGP, come dicevo, non si può, ma ci si fa l’abitudine a lavorare di improvvisazione e velocità (sarebbe assurdo il contrario).

 

Tu hai un ricco bagaglio di esperienze importantissime. Per esempio, com’è stato partecipare a Play Copy?

Play Copy è uno degli eventi più gratificanti a cui abbia mai partecipato. È un palco pazzesco, con un pubblico pazzesco, mi sento davvero onorato di aver portato le mie idee lì sopra. Negli ultimi anni ho partecipato a molti eventi, ma Play Copy rimane per ora uno di quelli a cui sono più affezionato – merito anche di Valentina Falcinelli, a cui devo tanto, e di tutto lo staff di Pennamontata, sempre impeccabile. Le persone che partecipano sono tutte affamate di parole e di idee, tecniche e strategie. È gente che con le parole ci lavora, quindi non le “incanti” con le basi del mestiere: servono piuttosto interventi specifici, potenti, pieni di spunti che possono essere messi in pratica nel breve periodo. Io non so se ci son riuscito, ma di certo ho dato il massimo.

Play Copy

Play Copy, convegno su copywriting e branding

 

E scrivere un libro?

Scrivere un libro è luuungo processo, di certo è il progetto più ambizioso e complicato in cui mi sia mai cimentato. Sono contento di averlo scritto nel momento giusto, cioè al mio decimo anno da copywriter. È un’attività che ti prosciuga, o almeno questo accade se, come me, la svolgi senza lasciare il quotidiano lavoro in ufficio. Ho scritto di notte, nel week end, in treno. Ogni momento libero era un’occasione per metterci mano. L’ho vissuto un po’ male, me ne rendo conto, ma essendo il primo non avevo alcune esperienza quindi è stato inevitabile peccare nel metodo di lavoro. Ad ogni modo, penso che la parte migliore non riguardi la scrittura ma la ricerca. Gli studi e le letture necessarie per arricchire i contenuti sono un viaggio favoloso tra biblioteche, università, siti web e scrivanie di persone a cui fai leggere qualche paragrafo in cerca di un parere. Quella parte lì, davvero, è divertentissima. L’editing, invece, è snervante. È vero che il grosso del lavoro lo svolge l’editore, ma non posso manco mandargli un testo con tempi verbali a caso e periodi poco convincenti. Ci sono capitoli che ho riscritto da cima a fondo almeno 4 volte. Ecco, se mai ne scriverò un altro, cercherò di evitare che questo riaccada.

Immagini vs parole

Immagini vs parole. Scrivere e progettare il messaggio pubblicitario.
Di Davide Bertozzi, Hoepli Editore

 

Se fossi un segno di punteggiatura, quale saresti? E perché? 🙂

Sarei una virgola, e mi piazzerei sempre dopo una bella e o un’altra congiunzione. Mi piace l’effetto che ne nasce, è come se la frase riprendesse vigore, e ritmo. Ogni tanto mi piazzerei anche dopo un bel punto, così, per mostrare un po’ di arroganza. Ogni tanto serve.

 

Grazie mille Davide! Ho apprezzato, e condivido, tutte le risposte, ma in particolare mi ha fatto piacere leggere la tua opinione sul piano editoriale. Anche io (e tutta BF a dire il vero) credo che la pianificazione dei contenuti, quando possibile, sia ancora un ottimo strumento per tenere il filo di chi siamo e cosa vogliamo trasmettere alle persone – cioè tutto quello che ci serve per dare un senso e uno scopo a quello che facciamo online 🙂

 

www.davidebertozzi.it





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